The Capri Times
Gennaro Ponziani

Da “scugnizzo “dei Quartieri Spagnoli a Direttore  del Gran Caffè “Gambrinus”. 

Testo: Caterina Marina Anselmo
Foto: Natalia Galkina Novi
Aprile, 2021
Da “scugnizzo “dei Quartieri Spagnoli a Direttore  del Gran Caffè “Gambrinus”. 
Siamo in Piazza del Plebiscito a Napoli, dove Gennaro Ponziani, con la gentilezza e l’accoglienza che caratterizza da sempre questo territorio, ci riceve in una splendida sala affrescata. Nato in una famiglia non abbiente, costretto dalla necessità dicontribuirne al mantenimento, a soli otto anni scopre la sua passione per il caffè. Tra esperienze vissute, aneddoti ed incontri con personaggi speciali, il piccolo Gennaro cresce, si forma, si informa, costruisce il proprio percorso di vita lungo una strada non sempre facile ma che lo vede, oggi, realizzato nella sua professione a cui si dedica quotidianamente con amore ed abnegazione. Conosceremo alcuni episodi della sua infanzia trascorsa nella Napoli dei primi anni sessanta.
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Gennaro Ponziani…a lei la parola
Sono Gennaro Ponziani, ho 63 anni, lavoro nei bar da quando avevo otto anni ed attualmente sono il Direttore del “Gran Caffè Gambrinus” di Napoli.
Avevo circa otto anni quando, pur frequentando la Scuola Elementare, ho dovuto cominciare a lavorare e a consegnare i miei primi caffè per le botteghe del Centro.
In quel tempo, ogni Bar acquistava la materia prima  presso varie torrefazioni e preparava ,poi, la sua miscela speciale  in un clima di spaventoso antagonismo. Questo perché ogni proprietario di locale, per attirare un maggior numero di clienti, cercava sempre confronti con altri, nell’intento di servire il miglior caffè al prezzo più contenuto possibile. Questa competizione mi affascinava e mi piaceva moltissimo lavorare con il caffè osservando il chicco tondo, il pallino, lo scarto e così via maturando, durante anni di lavoro, una buona esperienza professionale.
Dopo tempo, tuttavia, ho pensato di avviare una mia attività commerciale gestendo la mensa di una Banca destinata a circa circaseicento persone, un laboratorio di pasticceria ,una cucina e una tavola calda. In seguito, a causa di situazioni interne alla famiglia, l'attività in proprio non è andata più bene e mi sono rimesso in carreggiata per lavorare nuovamente alle dipendenze, ricominciando con nuove esperienze in altri bar. Sono arrivato al Gambrinus ventinove anni fa ma prima ancora lavoravo come Direttore a via dei Mille e, devo ammettere che, tornando al Gran Caffè, ho compiuto un passo indietro per poi procedere nuovamente in avanti. Questo perché, lasciando via dei Mille ,ho ripreso come barista al banco, ritrovando la mia passione per la caffetteria. Il lavoro mi ha portato a preparare tanti caffè diversi passando dal caffè Gegè al caffè strapazzato, dal caffè caldo freddo al caffè alla nocciola conuna pasta particolare che realizziamo in esclusiva. Amo il lavoro che faccio e per il Gran Caffè Gambrinus mi sono adoperato negli anni. Amo il luogo dove lavoro, mi sono integrato fortemente con i miei titolari e questa passione e condivisione mi ha portato a crescere insieme a loro che hanno contribuito a far approfondire molto le mie competenze. Ho raccolto tante soddisfazioni perché questo è un bar dove si ritrovano tanti personaggi importanti, genti di cultura, di spettacolo, politici, un luogo dove la gente viene, litiga, si riappacifica.

Prima di proseguire nel racconto del suo presente, sarebbe interessante conoscere alcuni aspetti della sua infanzia e dell’adolescenza , legati alle esperienze di quello che oggi è definito “lavoro minorile” ma che, a suo tempo, rappresentava la normalità per le famiglie non abbienti. Parliamo di Gennaro, bambino dei Quartieri…
Faccio parte di quei napoletani che negli anni ‘60 vivevano la povertà quasi assoluta. Mi piaceva tantissimo andare a scuola ma per aiutare la mia famiglia non ho potuto frequentare a lungo, inizialmente andavo a scuola e contemporaneamente lavoravo. A raccontare ora può sembrare facile ma proviamo ad immaginare come vivevo io, bambino di otto anni che lavorava in questa piazza, in un bar napoletano, chiamato Caffè del Sole. Mi sovviene un Natale triste perché non c'erano soldi in casa e per il cenone non c’era assolutamente niente. Una di quelle sere che precedono la festa  andai via dal lavoro, come al solito per dirigermi verso i quartieri, dove abitavo, e portavo con me una giacca coreana poggiata su un braccio. Attraversando i vari vicoletti che mi conducevano a casa, passando davanti a una delle numerose pescherie della zona, mi ritrovai vicino ai piedi un’anguilla gigante che era scivolata da qualche vasca nella quale era esposta :- Era uncapitone! Lo guardai, non sapendo a quale negozio, tra i tanti, potesse appartenere,  in un attimo lo prelevai da terra in fretta e furia nascondendolo nella giacca che avevo con me per scappare poi di corsa verso casa. Per tutti noi fu davvero una festa perché mangiare il capitone costituì un’occasione: una famiglia come la mia non aveva soldi e non si poteva permettere un lusso simile! Quella “circostanza” tuttavia, permise una festa grande a cui mai avrebbe pensato.
E dall’episodio del capitone passiamo a…?
Dal capitone passiamo ad altri episodi della mia infanzia che sono legati ad una zia che abitava in via Caracciolo, dove gestiva un bar. Andavo a scuola al “Piccolo Cottolengo” con il pullman 140 che aveva una fermata proprio nei pressi del Bar della mia congiunta, dove mi fermavo all’uscita dalle lezioni. A casa dei miei non avrei trovato neanche un piatto di minestra per cui mi fermavo da lei per pranzare. Quasi di conseguenza, per ringraziarla del pasto che mi garantiva ogni giorno, lavoravo per lei durante il pomeriggio portando il caffè del suo bar alle botteghe circostanti. Di sera poi, riprendevo l’autobus per rientrare a casa ma prima mi fermavo in questa piazza, era l’anno 1964, il tempo in cui stava nascendo il “Caffè del Sole, per restare a guardare la cannetta che fuoriuscendo dal banco, premendo su una maniglietta, spruzzava il Seltz, un'attrezzatura che solo pochi Bar, come ad esempio Caflisch, avevano.
Il Direttore, un milanese cognato del titolare, mi vedeva spesso gironzolare nei pressi del locale fino a quando, mi chiese che cosa facessi spesso lì intorno. Risposi che mi piaceva guardare e che facevo il barista. In seguito alla mia risposta mi domandò se volessi andare a lavorare da loro e così mi ritrovai al Caffè del Sole e a guadagnare Mille lire al giorno che, per quell'epoca, era una grande cifra se pensiamo che mio padre, lavorando alcomune, guadagnava uno stipendio di circa cento /centodiecimila lire al mese. Inoltre guadagnavo anche con le mance che ricavavo consegnando caffè alle “belle signore” che erano sulla piazza a lavorare! Allora il caffè costava 20 lire e io portavo a loro tanti caffè che mi pagavano a fine serata. Il titolare del Bar però non sapeva che io portassi il caffè a loro altrimenti me lo avrebbe impedito. Per poter effettuare le consegne facevo finta di avere ricevuto ordinazioni da altri, in realtà portavo il caffè alle signorine. Ripeto, il titolare non avrebbe permesso una consegna simile perchèil locale era frequentato da una clientela di un certo livello e inventavo continue scuse e presunti clienti per non perdere le richieste di caffè con le mance che mi consentivano di arrotondare la paga per aiutare la mia famiglia. Ed è in ricordo della mia infanzia e delle esperienze vissute che ho voluto che i miei tre figli studiassero, per garantirsi un percorso che gli permettesse di poter relazionare con tutti e costruirsi una solida posizione.

Esperienze vissute praticamente tra i tavolini dei Bar, le botteghe e una clientela di varia tipologia ed estrazione sociale, come è naturale che sia in una città “variegata “come lo è sempre stata Napoli.
Proprio così e, per restare linea con l’ultimo episodio raccontato, voglio citare il particolare periodo durante il quale esisteva la “Squadra del buon costume” che vigilava in città girando con un furgone. Come dicevo prima, la Piazza era frequentata da numerose “signorine” che mi ordinavano il caffè che veniva pagato a fine serata per cui dovevo tenere gli occhi sempre ben aperti perché, quando arrivava l’automezzodella Polizia, esse sparivano tutte e doveva batterle sul tempo per evitare di perdere il pagamento dei caffè consegnati. Tuttavia una sera, nella concitazione della fuga, mi sono ritrovato con esse all'interno del furgone della Polizia e quando sono stato scoperto, mi hanno chiesto ,ovviamente, cosa facessi in quel gruppo e ho spiegato che mi trovavo in quella compagnia esclusivamente per riscuotere le quote dovute per i caffè preparati dal Caffè del Sole . Chiarito l’equivoco, fui rilasciato e dovetti confessare l’accaduto all’ignaro proprietario del Bar che non conosceva la “destinazione “di alcuni caffè che “ufficialmente “facevo passare come richieste da parte dei bottegai circostanti, con conseguenze immaginabili! Altra esperienza l’ho vissuta in Galleria, con “Peppe ‘a pullera” così chiamato perchè aveva delle pollerie ai quartieri e come seconda attività rilevava Bar danneggiati, li restaurava, li rinnovava e poi li rivendeva. All'ingresso di Santa Brigida aveva un bar chiamato “Cinema Santa Brigida”, lui mi faceva salire sulle casse del latte che allora era contenuto nelle buste a piramide e mi faceva preparare il caffè. Aveva una caffettiera che, quando andava sotto pressione , fischiava tantissimo , poi indossavo la mezzaluna di stagno legandola con un laccio e andavo a vendere il caffè e le bottiglie di Pepsi Cola all’interno del Cinema .Per tentare di guadagnare sempre di più per portare più soldi a casa, sconfinavo anche nel cinema dove proiettavano film proibiti e poi ancora, attraverso altri passaggi ,continuavo a sconfinare fino ad arrivare al salone Margherita dove si esibivano le ballerine del Can Can .
Un bambino in costante contatto con il mondo degli adulti .
Avrebbe un episodio da “scugnizzo” da raccontare ai nostri lettori ? Ad essi ricordiamo brevemente che veniva chiamato in tal modo il vivace ragazzino napoletano, che spesso vagabondava per la città, alle prese con una esuberanza non sempre controllata 
Da tipico scugnizzo, dopo il lavoro, in estate, andavo in Piazza Municipio dove c'erano delle piscine di vario livello . Allora c'erano ancora molti americani da noi che spesso  lanciavanonelle vasche le monete da mezzo dollaro che noi ragazzini ci precipitavamo a raccogliere tuffandoci, turandoci il naso per raggiungere il fondo dove si erano depositate. Ovviamente non si trovavano solo i mezzi dollari ma anche bottiglie vuote e molto altro. Ricordo la volta in il mio piede si è incastrato in una bottiglia di vetro che si era spezzata, e mi feci molto male! Ho conosciuto anche i primi travestiti che si mettevano di fronte alla Galleria e mi ricordo bene di uno di essi: mi diede diecimila lire per pagare un toast e una Coca che in tutto sarebbero costati appena 160 lire, 40 lire la Coca Cola e 120 il toast ed il resto era per me! Racconto questo episodio per far comprendere che questo lavoro spingeva a volersi impegnare sempre di più per guadagnare. Allora non si badava al fatto che un ragazzino lavorasse. Lo sfruttamento minorile era frequente ed assurdo e dico questo senza nessun problema di irriverenza nei riguardi di mia madre a mio padre, a suo tempo era un fenomeno considerato normale. Quando non sono più andato a scuola, invece, ho cominciato a svegliarmi alle 09.00 del mattino per andare all’Arenella dove, accanto ad un giornalaio, vi era una salumeria per conto della quale portavo la spesa ad alcune signore che abitavano sotto il Ponte della zona. Per la consegna non venivo pagato dal negoziante ma guadagnavo solo nel caso in cui la signora offrisse una mancia e non sempre accadeva.
Dai Quartieri Spagnoli ai fasti del Gambrinus…Cosa consiglierebbe il Direttore al turista russo che passa per il Gambrinus?
Ad un turista russo che entra al Gran Caffè il Direttore consiglia innanzitutto il percorso delle sale per ammirarne gli affreschi che prendono origine ià dal 1860, poi di accomodarsi per gustare il caffè e i dolci classici come sfogliatelle e babà. Da dieci, dodici anni circa abbiamo fatto rinascere l'abitudine del caffè sospeso, un caffè già pagato per i meno abbienti e molti turisti, in particolare russi, rimangono affascinati dalla caffettiera che sta all'ingresso del locale e lasciano uno scontrino per un caffè ,già pagato, lasciato in omaggio ai meno fortunati. Questa è un’abitudine che nasce dai bassi, dal popolino e anche altre categorie hanno preso ispirazione da noi. “Il cuore grande di Napoli”, inoltre, ha ripreso la tradizione del caffè sospeso anche in altri settori per cui a Napoli oggi è possibile anche trovare “la pizza sospesa”. Per tornare a raccontare di me, posso dire che, al momento,mi trovo a svolgere un lavoro che mi gratifica ogni giorno di più, in un locale del quale mi sento quasi “memoria storica”. Devo il tutto anche alla fiducia riposta in me dagli attuali proprietari, i fratelli Arturo e Antonio Sergio (figli di Michele Sergio) e Massimiliano Rosati. Ritengo doveroso ricordare che Michele Sergio è stato il gestore che, rilevando il locale negli anni settanta, lo ha riportato, non senza difficoltà, agli antichi splendori, unificando i locali, ripristinando la galleria d’arte e la sala da tè. Con essi ho condiviso e condivido la quotidianità, l’esperienza, le emozioni, i momenti positivi e non, come pure le difficoltà derivanti da questo periodo non facile per nessuno, auspicando un sereno ritorno alla normalità per poter continuare a offrire al pubblico professionalità e competenza .
Come di consueto, a conclusione dei nostri incontri, ringrazio l’intervistato per il tempo che ci ha dedicato e per i contributi offerti dalla narrazione di episodi legati alla sua infanzia. Auspichiamo il ritorno alla normalità ed alla possibilità di sostare al “Gran caffè” coccolati dagli effluvi del “Gegè” ,dal dolce delle prelibatezze offerte , dalla cortesia e dalla bellezza dell’arte che ci circonda.
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