The Capri Times

Intervista a Massimo Ricciardi: docente, pittore e scrittore di letteratura artistica

























  • Caterina Marina Anselmo 
  • Foto Natalya Galkina Novi
Aprile, 2024
Il borgo di Vietri sul Mare ci accoglie in un sereno pomeriggio d’aprile. Competenza, passione e amore per l’arte raccontate dal salernitano Massimo Ricciardi: docente, pittore e scrittore di letteratura artistica.
M.R. La mia attività di studioso, di scrittore di letteratura artistica è nata in conseguenza alla mia attività pittorica. Ho cominciato prima a dipingere poi, con l'iscrizione all'accademia di Belle Arti, ho pensato di scrivere qualcosa. Ho cominciato con la Tesi e ho proseguito con una seconda Laurea conseguita nel 1998 che mi ha portato a pubblicare un libro sulla Costa di Amalfi nella pittura dell’800. È stato uno studio monografico legato proprio alla costa di Amalfi e quindi posso dire che sono passato “naturalmente” dalla parte attiva, quella relativa all’operare artistico, cioè a dipingere, alla fase contemplativa, di studio, di riflessione, in particolare sul paesaggio della Costa di Amalfi che è quello per il quale ho cominciato a dipingere e per il quale ho provato la passione più grande.
Successivamente ho affrontato un tema più ampio che è quello dei paesaggisti stranieri in Campania nell'800. Mi era stato detto che era molto interessante l'aspetto legato agli artisti stranieri che erano venuti in Costa di Amalfi e me ne sono occupato. Nella prima pubblicazione, tra cui c'era ovviamente Ščedrin che è stato uno dei miei primi amori. L'ho conosciuto nel 1981, durante il mio primo anno all’ Accademia delle Belle Arti e, nello sfogliare un libro di Paolo Ricci del 1960 dove era menzionato, mi ha colpito il fatto che l’autore non fosse conosciuto da nessuno e questo particolare mi ha incuriosito. Inoltre il fervore, l'entusiasmo, con il quale Paolo Ricci parlava di questo autore era coinvolgente e trascinante e, di conseguenza, mi sono documentato scoprendo di avere delle affinità con il pittore per quel che riguarda anche la ricerca di prospettive nuove attraverso le quali affrontare la pittura di paesaggio. Ricordo una frase che mi colpì, molto significativa per comprendere il suo modo di pensare. Quando scriveva ai suoi familiari in Russia comunicava che egli intendeva percorrere sentieri mai calcati da altri paesaggisti e questo rende molto chiaro il suo intento cioè scegliere tematiche nuove o quanto meno delle nuove prospettive, nuove inquadrature attraverso le quali raffigurare i suoi soggetti. L'altro aspetto di Ščedrin che mi ha colpito è la sua onestà intellettuale che è anche la mia.
Egli dichiarava di non voler aggiungere nessuna pennellata sul paesaggio se non guardandolo dal vero ed è una pensiero che ho condiviso, che forse inconsciamente ho fatto mio, quindi posso dire che è entrato nel mio cuore, nel mio vissuto come pittore e anche come storico dell’arte.




Ci troviamo in uno dei posti più belli della Costa, il primo che si incontra nel percorso che si snoda lungo una strada tortuosa, spesso difficile, ma con viste mozzafiato che ispirano da sempre artisti, viaggiatori e poeti. Tra essi, i cosiddetti “Pittori costaioli”. Cosa sono per lei, in che misura l’hanno ispirato, quanto ci hanno lasciato e quanto oggi vengono apprezzati?

M.R. Sicuramente sono stati quelli che più a fondo hanno battuto e attraversato le strade e gli scorci della Costiera fornendo delle nuove prospettive e dei nuovi soggetti rispetto a quelli che venivano dall’esterno, fossero essi gli stranieri, come i russi, come i tedeschi o anche più vicini come i pittori provenienti da Napoli.
Ovviamente, i costaioli, essendo del luogo, hanno manifestato sempre una conoscenza più specifica e più diretta e, collocandosi in un periodo particolare che è quello che va dalla fine dell’800 ai primi del ‘900, risentono in maniera abbastanza evidente degli impulsi provenienti dalle nuove correnti artistiche più all’avanguardia nel paesaggio, in primis l’Impressionismo. Tuttavia, sia per natura che per il fatto che fossero legati, purtroppo, anche all’aspetto commerciale, che è anche normale per chi vive di pittura, si sono abbastanza contenuti nell'esprimere in maniera più chiara e più forte anche dal punto di vista tecnico, l’attività pittorica. Quindi hanno cercato una sorta di compromesso tra una modernità del linguaggio e la riconoscibilità del paesaggio in maniera tale da rendere i paesaggi accattivanti e vendibili.
Nel loro ambito la figura di più importante è quella di Gaetano Capone Senior che, per motivi anagrafici ma non solo, ma anche per il fatto che è stato un pittore particolarmente dotato, è stato quello che li ha in parte guidati. Sicuramente ci sono stati anche aspetti vari nel senso che, pur essendo una scuola e quindi, connotata nell’insieme come una compagine di artisti che dipingevano grosso modo con lo stesso gusto sugli stessi soggetti, ci sono state delle diversificazioni nel loro ambito anche legate alle esperienze personali nel senso che, Ferrigno è stato in Brasile, Luigi Paolillo in Argentina, lo stesso Luca Albino, che fa parte della seconda schiera, è stato in Argentina, Scoppetta a Parigi per cui hanno portato il loro vissuto e la loro esperienza riproponendo il tutto in chiave personale nell’ambito della produzione pittorica della Costiera.
Il fenomeno si è rivelato certamente interessante per aver contribuito, con la diffusione delle loro opere, far conoscere maggiormente la Costiera. La loro produzione intensa e monotematica, nel senso che i costaioli l’hanno riprodotta sempre, Maiori in primis, come pure Amalfi, insieme a tutti gli aspetti che hanno riguardato questo meraviglioso paesaggio, ha contribuito non poco a diffonderne la fama.




Lo stile dei costaioli risente di qualche influsso?

M.R. Il loro stile nasce dalla conoscenza della più innovativa che è quella dell’Impressionismo, attraverso anche la mediazione di artisti napoletani che erano in collegamento diretto con Parigi come Palizzi e De Nittis. I pittori, pur provenendo dall’ambiente napoletano, hanno avuto ognuno la propria declinazione. Rispetto a questa base, arrivando poi al ‘900, ci sono stati aspetti particolari come per Luigi Paolillo e D’amato, che erano alla ricerca del superamento dell’immagine realistica nuda e cruda privilegiando aspetti, motivazioni, partecipazioni emotive diverse, scenari, ad esempio, dipinti tutti con un non verosimile blu, per conferire un’impronta personale all’interpretazione di un soggetto che era ormai già stato ripetuto tante volte.




Che cosa possiamo dire di tutti i pittori che hanno scelto la Costiera come scenario per le loro opere o come luogo di residenza? Quali motivazioni hanno condizionato la loro scelta?

Per rispondere a questa domanda io ritorno a Ščedrin non solo perché l'ho sempre amato ma anche perché, tra i vari pittori che sono stati in Costiera, il suo è stato un amore incondizionato che non trova eguali in nessun altro. Personalmente non conosco altri artisti che, come lui, hanno amato questo territorio e lo hanno amato fino alla morte. Egli infatti, dopo essere stato ad Amalfi, è deceduto a Sorrento.
Per quanto riguarda gli altri stranieri, ad esempio quelli stanziali come Pitloo che era olandese ma viveva a Napoli dove è deceduto nel 1937, penso che avessero un rapporto più frequente con i luoghi. Allo stesso modo, dei danesi, dei tedeschi, dei francesi penso che provassero una grande meraviglia nell’osservare questi luoghi che pur hanno amato ma non tanto quanto Ščedrin. Ritengo che non si tratta di una questione di comodità o di possibilità di risiedere in Costiera ma di altro e cioè che nessuno di loro ha avuto un amore tanto grande per la Costiera per farli rimanere fino alla morte per cui io lo ritengo davvero una figura molto importante.
E veniamo a qualche riflessione sui pittori russi …

Ritorno al già citato Ščedrin che, secondo me, ha aperto la strada perché prima di lui il mondo russo non conosceva in maniera così forte, così chiara, così evidente e forse neanche con la stessa passione con cui Ščedrin l'ha vissuta, il mondo della Costiera.
Dopo di lui sono venuti altri come Michail Lebedev che è morto nel 1837 a Napoli ed aveva più o meno con le stesse caratteristiche di Pitloo e di altri, però ho notato che in questa ricerca lui ha fatto in modo che le opere non fossero mai diverse anzi, si lamentava del fatto che gli chiedevano sempre la stessa veduta e, pur di soddisfare questa richiesta, cercava di trovare sempre qualcosa di diverso sia pure nello staffage, cioè nella disposizione dei personaggi sulla scena o nella situazione luminosa per cui nel primo volume che ho pubblicato nel ‘98, il più importante sulla Costa di Amalfi, ho sottolineato spesso questo aspetto per cui la stessa veduta, ad esempio il belvedere di Santa Caterina, l'ha affrontato prima con la luce radente del mattino che creava un certo effetto e, successivamente, con la luce del tardo pomeriggio, nella situazione molto caratteristica della nostra Costiera nella quale il primo piano è in ombra ed il secondo è completamente in luce. Questo fenomeno lo può capire soltanto chi lo ha dipinto, come ad esempio il sottoscritto, perché si è alla ricerca di situazioni di luce che sono caratteristiche della nostra Costiera e non di altre. Questo luogo, subisce il fascino ma anche il problema del sole che tramonta presto. Su alcune spiagge alle 16.30, 17,00 del pomeriggio il sole è già scomparso e lui ha fatto di questo fenomeno un dettaglio molto forte. Altro elemento notevole è la ricerca delle impostazioni particolari con punti di vista che sono tra di loro complementari, come ad esempio guardando dalla spiaggia verso la Costa alta e l’altro dalle terrazze verso il mare che sono due aspetti complementari, come dicevo prima, che ci fanno comprendere quanto lui amasse questo territorio.
Sottolineo invece che, diversamente dagli altri come Pitloo, Gigante, non ha mai dipinto la grotta dei Cappuccini e questo dimostra quanto lui avesse una personalità forte che gli permetteva di concedersi il piacere di scegliere cose che altri non avevano scelto.
Altro nome significativo per me è Ivan Ajvazovskij, che è venuto nel ‘40 e ha dipinto non solo in Costa ma anche a Napoli con un differente approccio al territorio in quanto amava molto l’effetto di luce, a prescindere dal momento in cui dipingeva, per cui non gli attribuiva lo stesso valore che le attribuiva Ščedrin.
Ecco che certamente c'è più mestiere, meno amore e meno passione in Ajvazovskij rispetto a Ščedrin.
Chiaramente, venendo venti anni dopo nel nostro territorio, Ajvazovskij aveva una maturità diversa anche dal punto di vista cromatico per cui
la sua scelta della tavolozza era più luminosa rispetto a Ščedrin che risente, in alcuni tratti, della tavolozza classica di fine settecento, inizi dell’Ottocento. Di certo posso dire che, tra i due, preferisco Ščedrin.




Massimo Ricciardi utilizza un metodo unico per attribuire i luoghi rappresentanti nei paesaggi meridionali - la canoa.

Molti luoghi sono stati dipinti sui quadri ma non titolati e spesso sono risultati non attribuibili. Per ovviare a questa mancanza risulta che lei spesso ha preso la canoa per osservare dal mare, per capire, per comprendere, per ricercare ed individuare i luoghi dei paesaggi riprodotti.

Allo scopo,  sono stato da Praiano a punta Campanella impegnato in una intensa ricerca per mare e per terra condotta anche per staccarmi dai costaioli di cui abbiamo parlato prima, per scoprire qualcosa di nuovo e di particolare. Ho perlustrato la zona cercando e ricercando angoli nascosti come può avvenire solo attraversando a piedi un territorio percorrendo il mare in canoa. Talvolta mi è capitato di trovare degli scorci interessanti, spesso ho portato sull’imbarcazione l’attrezzatura per dipingere e questo ovviamente mi ha dato modo di comprendere lo spirito genuino con cui gli artisti affrontavano la loro voglia di dipingere, cercando sempre dei posti nuovi. Ovviamente, trovare oggi qualcuno come me, che,  per dipingere dal vero usa la canoa, non è davvero un fatto abituale. Penso che a suo tempo (fine ’800) talvolta poteva capitare a qualche artista di noleggiare imbarcazioni o avvalersi di barcaroli per permettere la ricerca di scorci particolari. Una di queste è certamente la ripresa di Atrani vista dal mare che non si può realizzare se non da una barca. Tracce di questa attività le troviamo in Turner che non ha prodotto dipinti ma solo disegni che presentano, per l’appunto, un segno tremolante a testimonianza di quanto stiamo discutendo. Oggi, ovviamente, non vi è difficoltà alcuna per poter riprodurre dal mare ma è evidente che all’epoca la situazione era molto diversa. È stato interessante anche ripercorrere i luoghi che nel passato erano stati attraversati dai pittori della Costa.




La ricerca condotta, la metodologia, ha avuto riscontri positivi?

Si, mi è capitato proprio con un dipinto di Ščedrin al quale era stato dato il titolo di “Veduta della costa di Posillipo” che in realtà, è lo scorcio del capo di Atrani al chiaro di luna. Scorrendo le pagine del libro che ho portato con me e che stiamo sfogliando in questo momento vorrei fare notare il dipinto del Belvedere di Santa Caterina che era collocato su un promontorio e che è crollato tra il 1867 ed il 1870. Era un luogo particolarissimo perché subito dopo c’era la zona della cosiddetta “Casa di Masaniello” che è stata ritratta da Ajvazovskij in un dipinto del 1857.
Oggi sarebbe estremamente difficile individuare i luoghi rappresentati dagli artisti citati ma, osservando le rocce stesse, osservando piccole parti di edificio rimaste in piedi, sono riuscito a risalire al luogo.
Quindi possiamo dire che la conoscenza analitica del territorio, metro per metro, mi ha consentito di fare delle considerazioni particolari riguardo ai cambiamenti del territorio e anche come l’artista abbia modificato il territorio stesso rappresentato e notare quanto vi sia di reale,quanto di fantasioso o immaginario nella sua composizione e questo ci dà la misura di quanto fosse fedele al vero.




E come è cambiato il territorio?
Per molti aspetti è cambiato, purtroppo, in peggio, sicuramente per opera dell’uomo ma anche per motivi fisiologici/geologici nel senso che alcuni crolli sono avvenuti indipendentemente. È il caso del Belvedere di Santa Caterina che probabilmente è crollato naturalmente.
Questo primo libro da me realizzato rappresenta un'indagine iconografica, l’analisi di come gli artisti lavoravano su questi territori ma anche come il territorio sia stato interpretato e come sia mutato.
Recentemente ho trovato un dipinto di Lebedev del 1836 che raffigura la Valle dei Mulini che è un altro luogo particolare della zona che mi ha fatto scoprire la sua presenza anche in Costiera.




Come avviene la ricerca ed il reperimento delle opere?
L’indagine avviene attraverso le ricerche nei cataloghi delle Case d’Asta e presso i collezionisti. Quella che vediamo ora è la grotta dei Cappuccini che, pur essendo un must dell’epoca, un luogo dove si doveva assolutamente andare a dipingere, Ščedrin non ha mai dipinto.
La grotta è crollata nel 1899 probabilmente a causa del traforo di Santa Caterina, la galleria che si trova proprio al di sotto del Convento.




Possiamo parlare ancora di Ščedrin?
Si, possiamo parlarne a proposito di Paolo Ricci, un interessante pittore e storico dell’arte e di Raffaello Causa.
Siamo nel 1960 e Raffaello Causa è considerato uno dei migliori storici dell’arte sulla pittura napoletana dell’Ottocento, insieme a Sergio Ortolani. In questo contesto si è inserito Paolo Ricci che ha fatto presente al Causa dell’esistenza di un pittore russo che si chiamava Michail Evgrafovič Saltykov-Ščedrin e Causa risponde di non aver mai sentito questo nome e che non era riportato neppure riportato sui dizionari biografici come il Thieme-Becker.
La discussione è interessante perché ci si chiede come mai uno storico dell'arte così importante come Raffaello Causa, per motivi che bisogna ancora vedere quali fossero, non conosceva assolutamente Ščedrin che, successivamente è diventato l’artista che conosciamo ed a cui tutti gli storici dell’arte si sono interessati contribuendo alla diffusione delle sue opere a cui ho partecipato anch'io. Ora, volendo restare nell’ambito dei pittori russi, una decina di anni fa, in collaborazione con Michail Talalay, mi sono occupato di Vasilij Nečitajlov, un pittore del ’900, in un ambito diverso che è stato artista interessante e anche particolare perché nato come pittore di rappresentazioni di scene e figure storiche e religiose.
Venuto in Italia e in Francia, è stato un pittore paesaggista qui ad Amalfi. Sul finire anni ’40, poi, sorprendentemente non ha più dipinto paesaggi e non se ne conoscono ancora i motivi.
Probabilmente è stato attratto dall'aspetto umano del nostro territorio per cui ha cominciato a dipingere soggetti religiosi per la chiesa di Positano ed Amalfi in cui comparivano personaggi noti nell’ambiente.
Come dicevo prima, non si comprende perché ciò sia accaduto ma diciamo pure che nell’ultima parte della sua vita ha avuto una specie di regresso per cui parlava solo russo, si rifiutava di avere comunicazioni con gli altri, e l’Ermitage, lo studio amalfitano da lui occupato in Costa, fa riferimento alll’Ermitage di San Pietroburgo ed alla sua vita quasi in eremitaggio. Ciò ha sconvolto gli stessi amici del territorio che si chiedevano quali fossero i motivi del suo comportamento. Egli, tuttavia, confessò di aver ricevuto divieto da parte delle Autorità fasciste di dipingere all’aperto ed essendo Vasilij Nečitajlov, amico di Ivan Zagorujko, altro pittore russo che pur risentì delle leggi introdotte all’inizio della Seconda guerra mondiale, è probabile che gli abbia trasmesso la fobia, la paura dei luoghi aperti. Un’interpretazione che potrebbe apparire fantasiosa ma cha ha i suoi fondamenti perchè Nečitajlov è giunto nel nostro territorio attirato da Zagorujko. Nel 2012 il Centro di Storia e Cultura Amalfitana ha organizzato una mostra di Vasilij Nečitajlov (con relativo catalogo), alla quale ho partecipato.
Negli anni passati, in occasione di precedenti pubblicazioni, ha avuto occasione di conoscere il Prof. Talalay, storico, componente dello Staff della nostra rivista. Come è stata l’esperienza professionale con Michail, per gli amici Misha?
M.R. Conoscere il professor Talalay è stata un’esperienza ottima. Dopo aver sentito parlare di me, la prima volta che lui mi vide era il 1998 ed avevo circa quarant’anni e quando ha cominciato il suo intervento dicendo “io mi aspettavo che il professore Ricciardi fosse un tipo anziano, invece è molto energetico!” mi ha sorpreso molto.
Lo storico era stato colpito anche dal fatto che la mia ricerca sul territorio fosse finalizzata, tra l’altro, allo scoprire da dove fossero stati realizzati i dipinti per cui è stato un incontro veramente piacevole, con una persona amabile e molto generosa di elogi nei miei confronti.
Veniamo ai giorni nostri e come presumo, non possiamo fornire anticipazioni sul contenuto del suo ultimo libro, non ancora pubblicato. Offrirebbe almeno un accenno ai nostri lettori?
M.R. Io mi sono sempre interessato alle biografie degli artisti.
Sono partito con l’idea di scrivere una monografia sulla storia dell'artista Gaetano Capone, che era omonimo del Gaetano Capone “Senior”, caposcuola dei pittori maioresi.
Per tanti anni e fino a cinque, sei anni fa, non si conosceva l'identità di questo artista. Si era spesso confusa la sua firma con quella del più famoso Capone a cui spesso erano stati attribuiti alcuni dipinti del nostro Gaetano (Junior). Senonché, durante la ricerca, ho scoperto che si trattava di un altro Gaetano Capone, omonimo dello stesso e che i due erano addirittura zio e nipote.
Gaetano junior aveva meno di 21 anni quando emigrò in America dove ebbe un buon successo. Aprì uno studio al Bristol Building, sulla Quinta Strada angolo 42esima. Ha avuto contatti con Enrico Caruso che a New York amava conoscere i suoi conterranei. I suoi documenti ne riportano poi la naturalizzazione e ho inteso narrare in forma di romanzo tutta la vicenda.
Ho addirittura immaginato che mi somigliasse! Anch’egli era iscritto all'“Istituto di Belle Arti” e tra i vari documenti consultati, su uno di questi è scritto che era di carattere smanioso e vivace, capace di prendere a botte qualcuno se lo prendeva in giro. Era molto determinato, caparbio, deciso, con le idee chiare, e nonostante fosse amante della storia dell’arte e della letteratura italiana, decise di partire per l’America da solo, e di non ritornare mai più in patria.
Come pittore somiglia molto allo zio e questa è stata la sua condanna perché spesso le sue opere sono state scambiate per le opere dello zio e nessuno si è ricordato di lui.
Spesso Gaetano Senior gli inviava i soggetti che lui continuava perché erano opere che piacevano agli americani. I dipinti dell’uno e dell’altro si somigliavano e un poco si giocava sull’equivoco, attribuendo a Gaetano Senior, maggiormente quotato, le opere di Gaetano Junior.
Alla fine della sua carriera Gaetano Senior dipinge acquerelli dall’altura dei Cappuccini e ne dipingeva anche tre al giorno realizzando una produzione, per così dire, commerciale ed esagerata. Invece, Gaetano Junior, pur dipingendo per procurarsi i mezzi per vivere, ha mantenuta una dignità artistica superiore a quella dello zio.
Quando è prevista la presentazione del suo racconto?
La presentazione del mio libro avverrà a breve, probabilmente entro la fine di aprile.
Il comune di Maiori tiene moltissimo alla figura di Capone perché è la scoperta di un figlio della comunità maiorese emigrato in America, dove ha aperto uno studio al Centro di New York ed ha finanziato l’opera la cui presentazione avverrà a Palazzo Mezzacapo quanto prima e vi terremo informati dell’evento.
Ringraziamo il Professor Ricciardi, augurando un grande successo allo studioso scopritore di un artista della “Costiera” che non ha ancora avuto il riscontro meritato.Siamo onorati di contribuire, sia pure in minima parte, attraverso le pagine della nostra rivista, alla diffusione dell'opera di Gaetano Capone Junior, ringraziano ed invitando i lettori a seguirci nelle prossime interviste per ulteriori informazioni sull’argomento ed a visitare le meraviglie dei luoghi citati in questa intervista.



Caterina Marina Anselmo
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