The Capri Times
Antonio Martiniello

Il ruolo dell’architetto in una città dalle mille contraddizioni come Napoli

Testo: Caterina Marina Anselmo
Foto: Natalia Galkina Novi
Февраль, 2021
Chi è Antonio Giuseppe Martiniello, nato a Cimitile ( Na) 49 anni fa?

Bella domanda! Parto da un aneddoto di quando ero giovincello. Io lego molto la mia vita al mio lavoro e al mio fare architettura che, per me, ha un doppio risvolto: un risvolto mondano e un risvolto professionale. Il primo e’ quello di progettare, di realizzare i luoghi destinati ad essere vissuti dalle persone ma che ha anche un risvolto etico perché è molto legato alla possibilità di migliorare le persone.
Il secondo, dal punto di vista sociale e dell’integrazione, prende questa parte della mia vita che si sta occupando anche della rigenerazione urbana e della riconversione sociale cioè nel dare i contenuti ai contenitori, che sarà anche il tema del futuro. Io ritengo che prima di recuperare i beni dobbiamo già sapere che cosa dobbiamo andare a mettere dentro e poi possiamo pensare al recupero e la riconversione sociale avviene solo se si dà dignità all'uomo, se gli diamo un lavoro, perché è fondamentale che l'uomo abbia una sua dignità attraverso la sua espressione e, spessissimo, l'espressione dell'uomo è quello che lui è e quello che fa, qualunque sia la l'attività che svolge. Tutto questo per dire, essenzialmente, che quando ero ragazzo e volevo fare l'architetto dicevo a me stesso: -Ho studiato, voglio fare l’architetto! Diversamente non avrei studiato oppure avrei fatto altro e io ho sempre pensato che il mio lavoro è come quello di un ciabattino, lo si può svolgere ovunque. Quando hai acquisito un mestiere lo puoi fare in qualsiasi luogo. Questo mio pensiero è legato al fatto che io, partendo dalle origini, da un piccolo paesino qual è Cimitile, che è risale al terzo secolo dopo Cristo, dove abbiamo le uniche testimonianze di chiese paleocristiane al mondo quindi pregno di storia, di radici, sono andato all'estero perché avevo voglia di confrontarmi. Quando ero fuori, man mano cresceva la mia sicurezza perchè maturavo qualcosa che era talmente mio, da essere certo da poter lavorare ovunque e di poter andare ovunque. Essere soddisfatti nelle proprie ambizioni, appagati dal proprio obiettivo è fondamentale per essere felici e per questo dico che il lavoro diventa fondamentale non perché si pensa a diventare più o meno ricchi ma per raggiungere soddisfazione personale e penso che Antonio G. Martiniello sia proprio queste cose
Il percorso formativo inizia a Napoli per continuare, dopo la Laurea alla Federico II, in Austria, presso la Technische Universitat di Graz. Quali motivazioni lo hanno condotto in terra straniera e, nello specifico, a Graz?

Il percorso formativo inizia a Napoli dove mi sono laureato alla Federico II, per continuare in Austria, presso la Technische Universitat di Graz, dove sono rimasto per altri cinque anni studiando e lavorando. Nel contempo ci fu la possibilità di effettuare un'esperienza di lavoro presso l'Università di Bezaleel a Gerusalemm  ,che è una Facoltà di Architettura che loro chiamano Accademia, e andai senza indugio. In verità feci questa esperienza per un due motivi: il primo perché noi siamo all'interno di un contesto culturale dalla forte pregnanza Cattolica Cristiana ed era molto interessante per me vivere vedere anche l'architettura in un luogo diverso dove c'erano altri tipi di influenza. Faccio un altro esempio: noi siamo molto condizionati da quello che ci insegnano come pure dai sensi di colpa che ci hanno inculcato da piccoli e a me piaceva trovarmi in un contesto dove ci fosse proprio un altro tipo di punti di vista e di cultura, un altro modo di vedere ed in Israele è stato così. E’ stato fantastico vedere la loro visione del mondo, la loro visione dei sensi di colpa e la loro visione della caducità della vita ma anche di tutto quello che loro hanno vissuto che non sempre esce in maniera drammatica così come lo vediamo noi oggi. Gli ebrei compaiono sempre come delle vittime invece non è così. Sono persone che hanno preso coscienza della loro vita, di quello che è successo, sono pienamente consapevoli e la cosa meravigliosa che ho visto là è che sono gli estremisti, sia palestinesi che ebrei che provocano le problematiche note, ma gli ebrei e i palestinesi convivono e hanno sempre convissuto benissimo insieme, Il secondo, per capire anche meglio la diversità. E’ stato interessante quando sono stato a Graz, nel periodo delle guerre nei Balcani, alla fine degli anni novanta, osservare città come Sarajevo che, nel nostro immaginario, corrispondevano all’idea di i luoghi abitati da persone con meno cultura e sensibilità rispetto a noi.
Ho conosciuto, invece, i ragazzi che scappavano dai bombardamenti, come persone che avevano una cultura meravigliosa per il rispetto delle tradizioni. Questo ci fa capire che ciò che leggiamo non è sempre attendibile perché è sempre il punto di vista di qualcuno e non la realtà m il punto di vista di quella rete o di quel gruppo di persone o di quella corrente di pensiero.
Perchè scelsi Graz? Tra le città dell’Erasmus era quella più interessante perchè vi si trovava la facoltà di Architettura più notevole ed, inoltre, era una città dove si realizzava molta Architettura contemporanea

Come è stato ritornare nella tua terra?
L'obiettivo è stato sempre quello di fare esperienza per poi ritornare al paese che amo cioè l’Italia.
In quel tempo io già collaboravo con uno studio di Bologna, avevo l'Austria e avevo cominciato dei lavori qui in Campania. Queste esperienze mi servivano ed erano utili per valutarmi, per capire se ero in grado di svolgere la professione di architetto o se avessi dovuto fare altro. Capii che ero in grado di gestire delle situazioni, un cantiere, il lavoro e quindi io ero intenzionato e tornare in Italia.  Sono figlio di un insegnante di Storia dell'arte e di un Ispettore delle Ferrovie: In pratica non ero nessuno nel mondo dell'Architettura e, perdipiù, venivo dalla provincia. Volevo capire come avrei potuto svolgere la libera professione che amavo e che era quello che volevo fare, ma soprattutto se fossi in grado. Ho avuto la fortuna di vivere a Napoli già da studente, grazie ai miei genitori, e capivo che la situazione era abbastanza complessa. A suo tempo siamo usciti tutti dalla facoltà con 110 e lode, tutti bravi e tutti formati ma questo perché eravamo portati per mano dai professori. Andando sul mercato mi sono chiesto che cosa offrivo io di diverso rispetto ad altri che erano miei pari, i miei colleghi altrettanto capaci e altrettanto laureati a pieni voti. Quindi l'unico modo per poter offrire altro era fare esperienza altrove. Appena laureato, a circa 24 anni, grazie al progetto Erasmus riuscii ad andare all'estero e impiegai circa due anni per togliermi di dosso il saccendume italiano. Sai, a quel tempo ero giovane, già laureato, italiano, avevo studiato l'architettura italiana, la storia dell'arte, ma dall'altra parte vedevo ragazzi della mia stessa età erano già in giro per il mondo e avevano già fatto esperienza. Pur non essendo laureati avevano già un approccio con l'architettura di tutto il mondo e di tutte le culture molto più aperto rispetto al nostro, mentre noi eravamo ristrettissimi. Ricordo che in n quel periodo ho preso tante di porte in faccia dagli studi professionali perché quando sentivano che ero italiano non volevano proprio vedermi nè sentirmi. Per intenderci in Austria amano l'Italia, amano la moda italiana ma...

Ma... ?
Ma per quanto riguarda l'architettura non siamo apprezzati e lo vediamo noi stessi perché non abbiamo testimonianze di architettura contemporanea valide. 
Abbiamo un'architettura “sgrammaticata” ma non solo a Napoli, ma anche Milano e nel resto d’Italia.
Gli esempi di architettura contemporanea di grande rilevanza sono davvero pochissimi, diversamente da altri luoghi come la Francia, l’Austria e la Germania e nel resto del pianeta, laddove esiste un'architettura bella e funzionale. Qui da noi manca perché la nostra architettura è sempre legata alla politica che è culturalmente sottosviluppata ed ignorante e questo influenza anche le scelte dell’arte e nell’arte. Solo la piena autonomia di noi stessi ed alle nostre scelte ha fatto sì che l’Italia sia riuscita ad essere individuata come innovativa.  



Di ritorno dall’Austria, Martiniello avvia la sua esperienza professionale con l’Officina Keller. Parliamo dei luoghi in cui si muove e del team con il quale interagisce? 

Keller Architettura si occupa dal 2000 di progettazione architettonica, successivamente nasce Officina Keller che si occupa di rigenerazione urbana attraverso la riconversione sociale creando lavoro, prendendo dalle risorse dei territori e le due aziende si muovono in parallelo,all'inizio in Campania, nello specifico a Napoli e poi in Abruzzo. In team si incrocia e si diversifica, lavorando sulle progettazioni architettoniche una parte, un'altra su quelle sociali, etiche e sull’analisi dei territori.

L’Officina è collocata nel centro città, nel cuore del centro storico. che continua a sorprenderci restituendo, a seguito di lavori di scavo in città, ancora  tracce dell’antica Neapolis. Un centro storico, meta di visitatori e turisti internazionali, divenuto Patrimonio dell’Umanità, con punti di interesse straordinari nel cuore di una città, spesso contradditoria, laddove nemmeno il caos purtroppo imperante, riesce ad offuscarne il fascino. Cosa rappresenta, invece, per l’Architetto Martiniello?
Premetto che il Centro storico di Napoli è l’unico al mondo ad essere rimasto intatto, dai Greci ad oggi. Ma il centro storico di Napoli non è solo ricchezza di architettura, ma anche di umanità e saperi che lo rendono unico e si diversifica per la sua originalità immutata nei secoli dagli altri d'Europa e del Mediterraneo ma che rischia di andare via. In maniera quasi provocatoria affermo che il Covid ha fermato quel processo che avrebbero dovuto fermare le Istituzioni e non trasformare il Centro storico in un mega B&B perchè l’umanità di cui parlavo prima, quell’unicità sta venendo a mancare, perchè non vi è una normativa adeguata. E questo periodo di pandemia, ma poteva anche verificarsi altra emergenza ha bloccato l’economia di una città perchè trattasi di un’economia che non può reggersi sul niente. L’umanità del Centro storico stava scomparendo insieme ai suoi magnifici palazzi, frazionati tutti in una camera con bagno a scopo di lucro, ed oggi la metà del centro storico di Napoli è vuota. Spero che quando passerà l’emergenza vengano emanate delle norme allo scopo di preservare il Centro e che ci sia un tipo di turismo diverso e non di massa, che comprenda il vero valore delle città e che non arrivi solamente per danneggiarlo. Affollare la città non porta vantaggi, oggi a Napoli puoi trascorre una giornata con quaranta euro, si arriva, si pranza, si esplora la città e si va via ma questo non porta vantaggio perchè mancano le infrastrutture.

Quindi cosa pensi che si possa fare per incrementare un turismo “produttivo”, che non danneggi la città?

Per me occorre legiferare e far si che la città sia organizzata sotto tutti i punti di vista. Prima del Covid la città di Napoli ha funzionato perchè gestita dai Napoletani, ma ora tutto deve cambiare.

Nelle sue dichiarazioni, spesso parla di rigenerazione urbana del centro Storico. Quali condizioni necessiterebbero per avviarne il processo?

Politiche di una pianificazione illuminata in accordo con le istituzioni allontanandosi dall'idea di profitto facile, vedi B&B, non regolamentati.

Quali luoghi abbandonati, secondo te, al momento, potrebbero o dovrebbero avere priorità sugli altri,anche in relazione ad una possibile nuova destinazione?
Di luoghi ce ne sono tanti, ma fondamentale prima di recuperare i contenitori è opportuno che vengano progettati i contenuti che li rendono vivi nel tempo.

Qual è, senza togliere merito o importanza agli altri, il tuo “Luogo del cuore”?

Sicuramente le basiliche paleocristiane del 3 secolo dopo Cristo di Cimitile.
Le Basiliche sono spesso meta di visite, guidate, proposte anche alle Scuole per gli studenti. Ipotizzi uno sviluppo turistico?
Mi fai pensare ad un progetto che sto avviando in Abruzzo e riguarda la desertificazione dei Comuni.
Pensiamo al turista... va a Cimitile per una visita di mezz’ora per non trovare altro intorno? Si potrebbe unire alla visita all’Anfiteatro di Avello, raggiungere Nola. Ma se non si mettono insieme i Sindaci delle varie città per creare dei percorsi turistici non si potrà trovare una nuova economia ed un percorso turistico di luoghi particolari come possono essere le basiliche paleocristiane o l’Anfiteatro. Noi non ce ne stiamo accorgendo ancora ma le nostre Province si stanno desertificando quindi urgono seri provvedimenti. Anche in Abruzzo, dove io sto lavorando e dove si stanno ricostruendo i Comuni, ma non ci sono gli esseri umani e il fenomeno riguarda l’intera Regione. In Abruzzo avremo L’Aquila e niente intorno, ovviamente perchè non c’è lavoro e se non si creano progetti di sviluppo in questi territori prendendo dalle proprie risorse, ogni discorso è vano.
E ora una domanda relativa ad un mio “luogo del cuore”:  Piazza Mercato. Da centro commerciale cittadino ad opera degli Angioini, passando per il periodo delle esecuzioni capitali da Corradino di Svevia a Luisa Sanfelice e l’inizio della rivoluzione di Masaniello, al fiorire delle botteghe e delle attività commerciali ed il declino del dopoguerra culminato nel 1986, allorquando i commercianti si spostarono al CIS ………Da allora, l’ampia zona, è sempre più soggetta ad atti di vandalismo. L’architetto Martiniello intravede delle prospettive per un futuro della Piazza più adeguato alle sue potenzialità?
Il problema di Piazza Mercato nasce proprio in conseguenza del decentramento dei commercianti. Prima di esso già doveva essere chiara la nuova destinazione della Piazza ma ciò non avvenne e quindi un pezzo di città fu abbandonato ai cittadini. Due piazze bellissime, attività incredibili e imprenditori che non ci sono piu. FIno a due anni fa non c’era neanche un fruttivendolo nella Piazza, fino al confine con Borgo Orefici non c’era niente. Il Progetto era pur sempre un progetto di sviluppo legato alle risorse del territorio.

Cosa vedresti, oggi, a Piazza Mercato?

Tutti puntano al Turismo delle navi da crociera e si era pensato di creare un quartiere dedicato ai souvenir, del ricordo. A me sembra una cosa becerissima perchè dobbiamo produrre noi, dobbiamo essere autosufficienti. Secondo me tutto ciò che si poteva realizzare era riprendere la tradizione del tessile, organizzare delle Scuole di Formazione, sviluppare sempre le nostre risorse e capire come collegarci alle aziende internazionali, il tutto in un contesto di splendide piazze e meravigliosi palazzi, con un Know how di base che nessuna città possiede, nemmeno in Giappone. Purtroppo non ce ne rendiamo conto eil tutto va studiato a messo a sistema.L’altra tragedia è che quando arrivano i Fondi Comunitari, come accade in Abruzzo, mancano di reali progettualità. Per i 56 Comuni intorno a L’Aquila sono stati erogati sessanta milioni di euro, da utilizzare per il turismo ma si tratta di cinquantasei comuni per la maggior parte dei quali non vi sono esseri umani. Ma la domanda mia si ripete: Perchè un turista dovrebbe venire in Abruzzo? Cosa offre? Allora capita, per esempio, che tre o quattro Comuni si mettono insieme per realizzare una pista ciclabile ma si tratta pur sempre di comuni che hanno pochi abitanti per cui la pista ciclabile quasi mai sarà percorsa  Ritornando a Piazza Mercato, nel 2006 intervenni grazie ad un accordo con il Consorzio del tessile, col Presidente architetto Claudio Pellone che mi incaricò di una serie di proposte che naufragarono dopo l’intervento dell’Università e del Comune, che fecero la loro parte ma, come sempre, scollegati dalle esigenze del territorio e della storia che sta cambiando. Penso che questo scollamento sia dovuta ad un problema di Leggi che non consentono, sia alle Università, sia alle Istituzioni, di dialogare con i territori e dare la possibilità di affidare incarichi ad altre realtà.
Ritorniamo a te, si parlava di luoghi del cuore e, ovviamente, uno di questi non può non essere la propria dimora. Martiniello ha scelto un luogo abbandonato, rimasto vuoto per circa novant’anni, riportandolo a nuova vita attraverso un processo di ristrutturazione e di riconversione degli ambienti che descrive per i nostri lettori
È stato bello trovare uno spazio come questo in un immobile della seconda metà del ‘700, con una spazialità contemporanea. Bene si è adatta alle mie esigenze di vita personale perché una parta è la mia casa ed al lavoro.
In realtà tutto il palazzo fa parte dell'ampliamento Aragonese Il Settecento. Nel Settecento, quando fu bonificata via Foria,  che era un canalone e i ricchi borghesi Iniziarono a costruire i primi edifici di “speculazione“. Quindi le famiglie costruivano interi immobili, anche con i giardini,  ma erano comunque ediffici borghesi,  senza piani nobili. Uno di essi fu il palazzo dove ci troviamo.  Apparteneva alla famiglia Ruffo di Castelcicala da Nola che lo costruì  per la sua famiglia. Con il dopoguerra gli edifici diventarono tutte fabbriche. Su via Foria e via Carbonara fiorirono attività come guantai, fabbriche di scarpe, pellami in genere grazie a tutto il nostro sapere meraviglioso. Negli anni ‘80 Le fabbriche furono delocalizzate in aree industriali, i palazzi vennero di nuovo abitati. Questo appartamento fu restaurato nell'Ottocento con le decorazioni che vedi ed era grandissimo, praticamente prendeva tre palazzi.
Negli anni ‘50 diventò anche una fabbrica. Le sale dove mi trovo io oggi divennero il deposito di tutti gli arredi degli appartamenti circostanti. Qui a fianco c'era una scuola ed anche una fabbrica di scarpe. L’appartamento fu usato poi come cava. Sono state prese le cose più belle, come un pavimento, delle porte. Diciamo pure che allora si usava. Quindi l'appartamento è stato un po' spogliato delle sue cose. Se osservi bene qui per terra non c'è il pavimento originale che era stato portato via ma uno di legno industriale che ho poggiato io, mancavano gli impianti elettrici e idrici. Quando lo vidi capii che era mio, era il mio spazio e nonostante abbia questa sorta di classicità è uno spazio super contemporaneo, vedi la biblioteca, ha un volume che sembra una fabbrica, sembra quasi uno spazio industriale e quando lo vidi tutto “sgarrupato” pensai che non sapevo ancora come fare ma di certo sarebbe stato mio e che, per lo meno, ne avrei fatto il mio studio. Così iniziai l'opera di restauro. Ho impiegato quasi un anno lavorandoci anche io personalmente con i miei amici restauratori. Ripeto che qui non c'era nulla, mancavano i bagni gli impianti, c’era da conservare, c'era da restaurare e feci fare tutto dai miei amici restauratori ed è il luogo dove mi piace stare ed è anche fornito di una buona esposizione perché quando si costruiva, in tempi antichi, si era molto attenti a rendere l'ambiente salubre, a costruire case sane e questa casa lo è. Può sembrare strano ma è calda d'inverno è fresca d'estate e non si sentono i rumori della strada, pur affacciandosi su una strada trafficata come via Foria. Qui ho ricevuto tanti miei amici ed è passata tanta gente.
Cosa si prova a vivere in un luogo privilegiato quale può essere un palazzo storico in una città come Napoli?
Sono un privilegiato, ogni giorno mi ricorda la grandezza dell’uomo quando progetta bene.

E qual è il ruolo dell’architetto oggi, in una città dalle mille contraddizioni come Napoli?

Ritengo che oggi tutte le città si avviino verso un radicale cambiamento, cosa che mi piace molto e che molte abitudini si modificheranno. Pertanto le progettualità si concentreranno ancora di più sulla centralità dell’ uomo, su valori etici e del rispetto delle diversità.


I Grandi spazi che occupi e che ci ospitano in questo momento sono stati “offerti” per realizzare set cinematografici. Non possiamo non riferirci all’ultimo destinatario, cioè la fiction “L’amica geniale 3” che in questi giorni si sta girando in alcuni luoghi noti di Napoli. L’esperienza raccontata dal “padrone di casa”

E’ stata un’esperienza positiva. Si sa che si è legati alle proprie cose e nel momento in cui la tua casa diventa un set cinematografico viene smontata totalmente, restano solo le mura. Però, sarà anche la mia indole di architetto, non mi scoraggio se mi smontano tutto e devo rimontare e magari non come prima, ma rimodulando gli arredi. Questo mi fa rendere conto del fatto che non bisogna rimanere legati agli oggetti, alle cose ed io mi sono reso conto di non esserlo perchè quando vivi in un luogo arioso, luminoso bello come questo, non è, per esempio l’oggetto o il tavolo che rimane interessante ma è proprio l’essenza tua, in quel luogo, ad essere interessante. Voglio dire che se stai in un luogo bello o se stai in un luogo “fetente” ciò che conta è il tuo stare bene.
Per tornare a “L’amica geniale” la parte stimolante ed avvincente è stata l’interpretazione della casa da parte del regista Daniele Luchetti, che ha collocato il mio appartamento in un’altra città ma non posso svelare altro…!



Siamo arrivati alla conclusione del nostro incontro e ,incuriositi dalla misteriosa considerazione del “geniale” Antonio Marchitiello, restiamo in attesa di vedere questo splendido luogo trasposto in altro luogo ed in altro tempo .La presenza di Peggie ha reso ancora più singolare un particolare pomeriggio e ringraziamo l ‘architetto per la gradita ospitalità e disponibilità a “raccontarsi “ per i nostri lettori.
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