The Capri Times
















Cava de’Tirreni

Visita all'Abbazia della Santissima Trinità
Testo Caterina Marina Anselmo
Foto Natalia Galkina Novi
Febbraio 2024
L’intervista del mese di Febbraio ci vede impegnati in un contesto particolarissimo: le colline metelliane nel territorio di Cava de’Tirreni (Sa) ed il prestigioso complesso monastico dell'Abbazia della Santissima Trinità . Una storia millenaria che ci riporta al suo fondatore, il nobile Alferio che, da inviato del Principe di Salerno Guaimario III, muta la sua condizione per diventare monaco cluniacense prima, eremita poi, fino al ritiro in tra preghiera e penitenza.
La collaborazione dell’ing. Aniello Ragone di Cava de’Tirreni, appassionato ricercatore di storie locali e la disponibilità di D. Pietro, hanno consentito una visita guidata attraverso le sale della Biblioteca e dell’Archivio, seguendo il filo di un racconto che riassume brevemente circa mille anni di storia.

  • In apertura, D. Pietro, può illustrare per noi delle brevi note sulla figura di Sant’Alferio?
Alferio nacque da una nobile famiglia longobarda nella seconda metà del X secolo. Si presume la sua appartenenza ai Pappacarbone che erano imparentati con i Principi di Salerno al servizio dei quali si era posto fin da giovane. E fu in qualità di ambasciatore che si recò presso l’Imperatore Enrico II per chiedere degli aiuti militari contro la minaccia imminente dei Bizantini. Mentre era in viaggio, giunto alle Alpi, fu colpito da una grave malattia e di conseguenza costretto a fermarsi al monastero di Chiusa di San Michele. In quel luogo medita sulla sua condotta, sulla sua vita e promette che, in caso di guarigione, avrebbe lasciato la sua carriera diplomatica e si sarebbe fatto monaco. In quel periodo giunge da Roma uno dei quattro Abati Santi di Cluny, l'Abate Odilone, colui che dispose la data del 2 novembre quale giorno di preghiera in memoria di tutti i defunti, una pratica che dal Monastero di Cluny si è poi estesa a tutta la Chiesa occidentale. Alferio, quindi, si reca a Cluny per compiere il suo percorso monastico.

  • Cosa accade dopo la conclusione del percorso di formazione monastica?
Al completamento della formazione viene richiamato dai Principi per dare nuova vita e forza qui nel Salernitano. Alferio allora, qui giunto, vive da eremita sul colle Sant'Elia che è un promontorio posto di fronte alla parte finaledell'Abbazia.Poi comincia ad avere intorno a sé primi discepoli e si rende necessario costruire un monastero ma non ci riuscirà.

  • Alferio quindi incontra delle difficoltà nell’avvio della costruzione che avrebbe dovuto ospitarlo con i primi discepoli…
Si, incontrò delle difficoltà. Tuttavia, una notte riceve la visione di tre raggi che partono dalla grotta Arsicia ed è proprio lì che scende ed inizia a vivere in questa grande cava. Costruisce al lato della Grotta, una chiesa intitolata alla Santissima Trinità, poi il Monastero, che aveva il suo “Scriptorium” collocato nel luogo più asciutto e adatto per la conservazione del materiale scrittorio e del materiale pergamenaceo. Costruisce il tutto sulle fondamenta di alcune fabbriche di epoca romana, segno della presenza di alcune famiglie patrizie che vi soggiornarono a suo tempo. Tra esse, il console Metello da cui proviene la denominazione ancora oggi in uso, di “Valle metelliana”
Oltre lo Scriptorium nasce la Biblioteca che anticamente era ubicata dove è l'attuale campanile della Basilica.

  • Come giungevano i testi alla Biblioteca?
I testi che cominciarono ad occupare la biblioteca giungevano ad essa perché realizzati nello" Scriptorium Cavense”, per omaggio ricevuto dai monaci durante i loro pellegrinaggi, predicazioni,lasciti, donazioni oppure per acquisto.
Attualmente sono custoditi 65 manoscritti ed in questa sala, detta” Prima sala Settecento “, troviamo circa 20.000 volumi. Si parte dai primi incunaboli del 1400 per giungere poi allecinquecentine, alle seicentine , ed ancora ad altre opere, fino al 1830,che sono definite “ di pregio” o “rare”.
Nella biblioteca sono custoditi circa 98.800 volumi che sono stati tutti catalogati. La Biblioteca che è specializzata come monastica, è tale anche nel settore della storia dell’Italia meridionale nel periodo medievale. Questo soprattutto perché la Badia, nel corso dei secoli, divenne una potenza non solo spirituale, ma anche culturale. In questo luogo, fino a venti anni fa circa, c’erano anche le Scuole. Nei tempi antichi erano gestite dai monaci, quando poi sono subentrati i laici non è stato più possibile sostenerle.
La biblioteca nasce per volontà di sant'Alferio perché, seguendo le “Regulae” di San Benedetto si doveva seguire soprattutto il “Lege”.
Quindi si seguiva lo studio di testi filosofici, teologici, ma ricordiamo pure che all’interno dello “scriptorium” erano accolti copisti e miniaturisti impegnati nei testi di testi di autori classici che potevano dare una lettura prettamente cristiana della storia di quel periodo o che è stata trasferita come lettura anticipata del Cristianesimo.

  • Padre Pietro, lei ci ha parlato di due sale adibite a Biblioteca, una prima che è detta “del 700” ed un’altra ancora. Ci accompagna nella visita alla seconda sala?

 Dall'altro lato della prima sala ne troviamo un’altra che è definita “Sala dei Protocolli” dove sono custoditi documenti notarili e qui ha inizio la parte archivistica della Badia.
Non abbiamo ancora detto che le sale presentano soffitti dipinti ispirati dagli scavi di Pompei rinvenuti a suo tempo e le pitture sono ispirate ai ritrovamenti ed agli affreschi dell’epoca. Abbiamo un primo soffitto dai colori ancora molto brillanti, mentre nella seconda sala troviamo toni più sbiaditi. Dobbiamo all’abate di allora, cioè De Stefano, la volontà di far riprodurre sui soffitti gli affreschi delle ville pompeiane. E a proposito di volontà possiamo dire che la Biblioteca è nata per volontà e l’Archivio è nato per necessità.
Dopo Sant’Alferio, negli anni che ebbero a venire, la Badia era diventata una formidabile potenza sia a livello spirituale che temporale. Si sono moltiplicati lasciti e donazioni da parte dei signorotti locali, a cui si aggiungeranno privilegi da parte di principi, imperatori e Pontefici. Si rese necessario allora “custodire” e gestire una mole di documenti. Ecco che l'archivio quindi nasce per garantirne la custodia ma anche perché si potessero conservare le scritture relative ai possedimenti che cominciavano da qui,passavano per il Cilento ,attraversavano la Basilicata, la Puglia, parte della Calabria, fino a giungere in Sicilia .Si trattava, praticamente, di un impero . Possedeva addirittura una flotta di piccole navi che facevano la spola con l’Oriente e che erano appoggiate nel porto tra Vietri e Cetara, cioè il Fuenti. Le navi erano necessarieper i commerci verso la Terra Santa ed addirittura si ipotizza che nell'indizione della prima crociata fosse coinvolta la Badia e quindi San Pietro Pappacarbone.
Tutti i documenti in possesso dell’Archivio sono stati collocati nelle arche che vediamo. In esse sono contenute circa 15.000 pergamene scritte in lingua latina e cento in lingua greca. Tutte sono state catalogate e parte anche digitalizzate.
Le Arche contrassegnate da un numero romano sono definite “Minor”, le altre, contrassegnate da un numero romano ed una lettera, sono definite “Major”. Custodiscono documenti di autorità sovrane, di principi, di imperatori e Papi. Anticamente erano state catalogate in maniera topografica cioè in base alla provenienza, successivamente sono state catalogate in ordine cronologico. La catalogazione cronologia quindi ci riferisce che in Badia i documenti più antichi, come anticipato, risalgono al 972 e così via fino al 1005,1006.

  • Quali sono i documenti che ritiene più interessanti e che potrebbe mostrarci?
Vi mostro il documento più antico in nostro possesso, risalente al 792.
È redatto su pergamena, una superficie per scrittura derivante dallo scuoiamento di animali le cui pelli venivano raschiate, pressate, lavorate con la calce per dare solidità e poi messe ad asciugare nel luogo accennato prima, più arieggiato, cioè lo “ scriptorium”. Il documento è un atto privato, un atto di matrimonio che si trova qui a causa del dominio che la Badia esercitava sul territorio, sulle chiese e sulle parrocchie in esso contenute e, di conseguenza, giunge qui proveniente da un archivio parrocchiale. Il testo è particolare perché ci sono parole scritte per esteso ma ce ne sono altre abbreviate, a volte tagliate, necessità dovute proprio al tempo da impiegare per la scrittura del testo nel senso che chi scriveva l’atto lo faceva non era ancora comparsa. Ciò che rendeva valido l'atto era non il redattore, che aveva il solo ruolo di “estensore” ma la presenza dei testimoni. Trattasi di un documento scritto in lingua latina con scrittura corsiva, il carattere da cui deriverà la beneventana,così’ chiamata dai Langobardi venuti dal Nord che si sono spinti fino al Ducato di Benevento, laddove si sono fermati e da cui ha inizio la diffusione della scrittura nei centri benedettini. 
Chi ha studiato la pergamena, ha rilevato che è il documento stato sottoscritto alla presenza di testimoni. E’ stato possibile rilevare anche i nomi degli sposi: Alderisio di Forino, provincia di Avellino, e Contruda di Nocera .
Viene attestato il ”MORGENGABE” cioè il “dono del mattino” che , secondo il Diritto longobardo, lo sposo doveva alla sposa il mattino del giorno dopo l’avvenuto matrimonio, consistente in un quarto dei propri beni .
Tra gli atti custoditi annoveriamo il diploma con il quale i Principi di Salerno, Guaimario III e Guaimario IV, donarono alla nascente comunità la zona boschiva e le terre coltivate tutte intorno alla grotta Arsicia, tra il fiume Selano e i due rigagnoli suoi affluenti Sassovivo e Giungolo. Con lo stesso atto fu conferita alla comunità monastica, tra gli altri privilegi, l'esenzione dalle imposte e la libera designazione degli abati da parte del predecessore o, per elezione, dalla comunità stessa.
Ed ancora, un documento del 1035 con la donazione della chiesa di San Michele di Olevano sul Tusciano, una bolla papale con la quale,nel1089, viene concesso alla Badia di non essere soggetta alla Diocesi locale ma alla Santa Sede.
Abbiamo poi un più documento più solenne, del 1131, dovuto a Ruggero II di Sicilia il quale, a seguito della sua incoronazione, dona all’abate Marino, in carica all'epoca, la chiesa di San Michele in Petraria. Ed ancora Ruggero, in seguito alla morte della sua consorte Sibilla, dona l’ambone cosmatesco. Nel documento si vede la particolarità della sua firma in greco ma la caratteristica ancora più specifica e inusitata per il tempo, era il sigillo d’oro che, a differenza di quello in cera, era legato alla pergamena con un filo di canapa. Sul recto vediamo Ruggero II, sul verso il Cristo pantocratore, diverso da quello presente in Sant’Apollinare a Ravenna o in quello del Molise dove viene rappresentato in piedi. In questo sigillo, invece, il Cristo è seduto in trono.

  • Tra le pergamene, gli atti  ed i protocolli la Badia custodisce un prezioso Codice che comprende, tra l’altro, l’Editto di Rotari . Un cenno agli “antenati” degli attuali libri…
Un codice, in effetti, è l’antenato dei nostri libri. Nasceva da una pergamena, una pelle di animale appositamente raschiata e lavorata con la calce, che veniva poi collocata nello “scriptorium” in attesa di essere utilizzata.
La pergamena veniva ripiegata più volte fino a raggiungere quelle dimensioni che oggi corrispondono, ad esempio, ad un foglio formato A4. Quindi i vari fogli venivano sovrapposti a strati, cuciti con il punctorum e riposti in custodie di cartone o legno. Venivano poi foderate con copertine di pelle o cuoio.
Nella sala è possibile visionare un manoscritto decorato con miniature. Teniamo presente che i materiali per le decorazioni venivano ricavati da elementi vegetali, animali, minerali tritati, gomma arabica, dal minio cioè il piombo ossidato a contatto con l’aria. Per un certo periodo si è utilizzato anche del terreno ferroso ma si è visto che andava a rovinare il Codice.
Sfogliamo ora il “Codex Cavensis 4”, il “CodexLegum langobardorum-Capitularia RegumFrancorum” in lingua latina e scrittura beneventana risalente all’ anno 1005 circa. In esso sono elencate non solo le Leggi ma anche l’origine delle genti longobarde, tanto è vero che sono raffigurate le due divinità pagane che erano alla base della fondazione della stirpe, Godan e Freu (Frea) che avrebbero dato anche il nome alla popolazione. Molto interessanti risultano le illustrazioni che accompagnano il testo. Nella parte dedicata al re longobardo possiamo vedere Rotari nell’atto di legiferare, ne vediamo i paramenti, la corona, dietro di lui lo scriba, i giudici che ricevono l’atto, il messo chiamato a proclamare l’Editto attraverso il regno.
Ma cos’era l’Editto e quale scopo aveva la sua promulgazione?
Possiamo definirlo, in breve, un editto evangelico, che andava a regolarizzare i rapporti tra le persone, le contese.
Le scene successive rappresentano Pipino il Breve, segue una scena di passeggio, un convito.Nell’ultima illustrazione troviamo Lotario in un momento di caccia.

  • Prima di concludere il nostro incontro, non possiamo non parlare dei Codici custoditi alla Badia…
Sfogliamo allora il ” Codex Cavensis 4 , il” “CodexLegum langobardorum-Capitularia RegumFrancorum” ( Scrittura beneventana- anno 1005 circa). In esso sono elencate non solo le Leggi ma anche l’origine delle genti longobarde. A tale scopo sono raffigurate le due divinità pagane che erano alla base della fondazione della stirpe, Godan e Freu ( Frea) che avrebbero dato anche il nome alla popolazione. Molto interessanti risultano le illustrazioni contenute nel Codice: Rotari nell’atto di legiferare, ne vediamo i paramenti, la corona, dietro di lui lo scriba, i giudici che ricevono l’atto, il messo chiamato a proclamare l’Editto attraverso il regno.
Ma cosa diceva l’Editto?
Possiamo definirlo un editto evangelico, che andava a regolarizzare i rapporti tra le persone, le contese.
Le scene seguenti rappresentano Pipino il Breve, si continua con una scena di passeggio ed un convito. L’ultima illustrazione rappresenta il re Lotario a caccia. Tra le pagine si nota una macchia scura che evidenzia un testo scritto precedentemente. Si tratta di una macchia di colore bruno derivante dalla noce di galla, un’escrescenza dei tronchi degli alberi provocate da punture di insetti. La noce di galla distillata veniva utilizzata per la ricerca dei palinsesti, i testi sottoscritti su pergamene che erano state lavate per essere di nuovo adoperate. Il Cardinale Angelo Mai, grande paleografo e ricercatore di palinsesti, utilizzò su larga scala la noce di galla per recuperare testi inferiori. Il trattamento, tuttavia, era invasivo e danneggiava la pergamena che scuriva, spesso anneriva, seccava e si smembrava.
Al Cardinale si deve lo stemma all’ingresso del pavimento che non è visionabile se non in occasioni speciali, come nel caso di visite di grandi personalità. La Badia è anche in possesso del Codice n. 1, consistente in una delle sei copie della Bibbia visigotica. Si ipotizza che il committente sia stato il re cristiano Alfonso II delle Asturie.
 Vi sono altri testi ancora più antichi come volumi di Isidoro di Siviglia, le "Etymologiae sive origines” e testi di Gregorio Magno.
Un ulteriore Codice, il n. 18, scritto in Badia dal monaco Benedetto da Bari, è un’opera spirituale per i monaci e per i fedeli: il Codice” De septemsigillis “. Si tratta di un codice scritto in beneventano. Benedetto impiegò ben ventisetteanni della sua vita per completare il lavoro. L’unica miniatura contenuta nel testo è particolarissima e ben rappresenta il lungo tempo occorso per la realizzazione dell’opera. Il monaco infatti si presenta ai piedi dell’abate Balsamo che invece è seduto in trono, per consegnare il frutto del lavoro di una vita ed il tempo trascorso è evidenziato dalla figura di Benedetto con due teste: una giovanile a indicare il periodo in cui ha iniziato il lavoro, e una canuta, segno del tempo che è passato. Il Codice è forse l’unico scritto in abbazia e basterebbe da solo a mostrare la grandezza di quello che è stato lo “Scriptorium cavense”
 Prima dei saluti finali vorrei mostrarvi una vera e propria “chicca” per cui ringraziamo la Casa editrice Hoepli che nel 1878 realizzò una grande opera informato miniatura. Mi riferisco alle tre cantiche della “Divina Commedia” di cui sono state stampate solo mille copie.
Esse sono state donate dalla Casa Editrice a Biblioteche ed Archivi, tra cui la nostra Badia, ed alla millesima copia furono distrutti tutti i caratteri di stampa affinché gli esemplari in circolazione costituissero una rarità. Per cui possiamo dire che, tra i tanti privilegi concessi alla Badia, rientra anchela donazione ed il possesso di una delle minuscole copie della grande opera di Dante.

Con la “chicca” del grande dono della Casa Editrice Hoepli si conclude il nostro incontro nella magnifica Badia dove,di certo, ritorneremo. Ringraziamoancora D. Pietro e l’ing. Aniello Ragone per la consulenza offerta in questa piacevolissima visita guidata.
Colgo l’occasione per invitare i lettori a visitare la struttura millenaria, anche contattando il nostro Staff che sarà ben lieto di organizzare un percorso turistico culturale alla scoperta del grandioso complesso monastico e del territorio circostante, trale verdi colline e il mare della costiera amalfitana.
Vi aspettiamo numerosi!
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